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Analisi del voto USA, tra economia e demografia

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– Barack Obama ha vinto. E’ stato rieletto presidente degli Stati Uniti con 303 electoral vote a favore (manca ancora la Florida) contro i 206 electoral vote di Mitt Romney. Al democratico sono andati circa sessanta milioni di voti, mentre il repubblicano ne ha raccolti cinquantasette milioni.

Il primo fattore da considerare sono i sondaggi. Praticamente nessuna grande agenzia ha fallito. Nei battleground States, cioè in tutti i Key States, il leggero vantaggio dell’incumbent si è poi rivelato esatto nello scrutinio dei voti reali della notte di martedì. Obama ha vinto in Colorado, Iowa, Nevada, New Hampshire, Ohio, Virginia e Wisconsin. Unico neo per i sondaggisti è stata la Florida dove Romney veniva dato per favorito. Anche la Pennsylvania, che era stata data in pareggio da alcuni analisti e dallo stesso Romney, è andata al presidente.

Grande è stata la festa all’HQ di Obama:Stasera – ha detto il Presidente nel suo victory speech – il popolo americano ci ha ricordato quanto la nostra strada sia stata lunga e tortuosa in questi anni. Ma il nostro cuore ci ha detto che il meglio deve ancora venire”. Per Romney invece è stata una serata amara. Il trend per Obama, seppure per pochi voti, è stato chiaro fin da subito ed il repubblicano, che ha aspettato fino all’ultimo una eventuale contestazione dei voti scrutinati, ha dovuto dichiarare la propria sconfitta: “Vi auguro ogni bene – ha detto – in particolare al Presidente, alla first Lady e alle loro figlie. Questo è un momento non facile per il nostro paese e pregherò Dio perché lo aiuti a superare le difficoltà”.

Ma è l’analisi del voto che deve far riflettere il Grand Old Party. Barack Obama ha vinto il voto femminile (55%) ed il voto dei giovani (60%). Ha perso il voto degli uomini adulti (si è fermato al 45% contro il 52% di Romney) ma è riuscito ad accaparrarsi il voto degli Ispanici: sul 10% del totale votante il 60% è andato al democratico.
Negli exit poll, alla domanda: “Chi è il colpevole della crisi?” il 51% degli americani ha risposto George W. Bush. Segnale importante che fa immediatamente capire il trend positivo per i democratici in questo election day.

Sempre sull’economia, alla domanda: “Qual è la vostra situazione economica rispetto quattro anni fa?” gli americani hanno risposto “la stessa” per circa il 41%, “peggiore” per il 33% e “migliore” per il 25%. E nonostante il voto popolare sia andato al democratico, alla domanda: “secondo voi la nazione sta andando nella direzione giusta?” solo un 46% degli americani ha risposto positivamente, contro un 52% che invece risulta ancora diffidente verso le scelte di Washington.

Altro fattore chiave è stata la vittoria nello Stato dell’Ohio, dove il 59% degli americani si è detto d’accordo con il bailout dell’auto, contro il 39% che si è mostrato non in linea con le scelte dell’attuale amministrazione.
Anche in Wisconsin, la terra di Paul Ryan – uno Stato dato per incerto e teatro del recall a favore del governatore repubblicano Scott Walker – non è andata diversamente dal resto degli swing States facendo interrogare un po’ tutto il partito repubblicano sulla scelta del Vice da parte di Romney.

Molto interessante è anche capire se la tragedia dell’uragano “Sandy” abbia di fatto spostato voti. Sempre secondo gli exit poll, alla domanda: “l’impatto del superstorm vi ha influenzato nel voto?” la risposta è stata “importante” per circa il 42% degli americani e “molto importante” per il 12%. E’ indubbio che l’hurricane abbia fermato il “momentum” di Mitt Romney che, fino al quel momento, era riuscito a recuperare molto bene sullo sfidante. Non si pensava però potesse essere così tanto determinante da cambiare il “mood” di così tante persone.

Il turn out (l’affluenza alle urne) è stato anch’esso determinante, perché sostanzialmente non è di fatto molto cambiato rispetto al 2008, soprattutto nella tipologia di chi si è recato alle urne. Se fino a qualche anno fa sia i giovani sia le minoranze alle urne non andavano, oggi è completamente l’opposto. Quattro anni fa si era sottolineato come il turn out del 2008 fosse stato un evento irripetibile. Così invece non è stato. Si è ripetuto.

La grandezza e la vittoria di Obama passa per questo punto chiave: il Presidente è riuscito a portare a votare fasce di popolazione restie ad andare alle urne: i giovani, gli afroamericani e gli ispanici. Il fattore demografico, fino a qualche anno fa non decisivo, in questi ultimi otto anni è invece diventato fatale per i repubblicani. Oltretutto questo tipo di elettorato è aumentato rispetto al 2008 e se i repubblicani non sapranno correre ai ripari in fretta sarà veramente difficile per loro poter tornare a vincere.

Andando indietro nella storia politica americana difficilmente si è potuto assistere alla sconfitta di un incumbent (dal 1960 è successo solo con Ford, Carter e con Bush senior) ma è altrettanto vero che nessun Presidente degli Stati Uniti è stato mai rieletto con una disoccupazione pari o superiore al 7.2%. Nella drammatica crisi finanziaria in cui versa l’America sembrava impossibile poter rivedere Barack Obama sedere nuovamente nella poltrona della sala ovale. Ed invece così non è stato.

Questo pone parecchie domande su cosa sia diventata l’America in questi ultimi anni. Si tratta ancora di un territorio per lo più conservatore con le stesse fasce di votanti, come descritto nel testo fondamentale “La Destra giusta – The Right Nation” di Micklethwait e Wooldridge, quei neoconservatori nati negli anni sessanta e settanta dalla costola liberal e che hanno poi caratterizzato lo spostamento a destra del Sud culminato con Reagan prima e con George Bush jr in seguito, oppure il cambiamento demografico, la presenza di maggiore immigrazione ed il fatto, ormai conclamato, di fasce nuove di popolazione votante, hanno cambiato drasticamente la cultura e la composizione degli Stati Uniti?

Tralasciando l’enorme lavoro e le difficoltà che Barack Obama dovrà affrontare da oggi in poi (il primo step è il fiscal cliff del prossimo Gennaio), se per i democratici il problema di rinnovamento del partito rimane lontano (nonostante per il 2016 l’unico nome al momento possibile possa essere la Clinton), per i repubblicani non può più essere procrastinato. In ballo c’è molto di più che la vittoria alle urne. C’è la sopravvivenza del partito stesso.


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