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Il lungo cammino verso la libertà delle donne arabe

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– Le donne italiane acquisirono il diritto al voto nel 1946; quelle francesi due anni prima; le giapponesi nel 1945. E, se esaminiamo la situazione dei Paesi della Lega araba, il diritto al voto per le donne è stato già concesso nella maggior parte di essi.

Solo quest’anno, però, tocca alle donne arabe, che potranno finalmente avvicinarsi alle urne nelle prossime elezioni municipali. In uno dei momenti più cruciali della storia del mondo arabo, in cui le rivoluzioni democratiche hanno portato al crollo di due regimi, tunisino ed egiziano, e vedono la Libia protagonista di una guerra civile contro il regime di Gheddafi, è dalle donne d’Arabia che parte un’altra delle energiche ribellioni ad una monarchia ultra-conservatrice, integralista e assolutista per la conquista di alcuni diritti fondamentali. E così, sostenute da altre componenti della società come gli intellettuali, con forza e coraggio sfidano regole restrittive e secoli di privazioni e riescono nel loro intento acquisendo il diritto al voto, quello di essere elette nelle elezioni municipali e di far parte del Consiglio consultivo del regno, la Shura.

E’ soltanto una delle tappe di un percorso in crescendo e ancora in itinere che vede schierate in campo, non solo da oggi, molte femministe e intellettuali sauditi. Infatti la protesta contro il divieto di votare imposto alle donne alle elezioni del 29 settembre scorso era partita proprio da un gruppo di intellettuali, che avevano rivendicato il diritto delle donne di partecipare alle elezioni sia come diritto di avvicinarsi alle urne, sia mediante la possibilità di presentare la loro candidatura ai seggi municipali.

Le donne arabe diventano le protagoniste principali di uno scenario assai complicato all’interno di una regione profondamente divisa, che vede da un lato l’Arabia Saudita a maggioranza sunnita e filo-occidentale contro, dall’altro, Iran e Siria, a maggioranza sciita e favorevoli alla causa palestinese. Questa la situazione attuale di una zona dalla storia travagliata in cui le donne si fanno interpreti principali di un cambiamento voluto, richiesto, ambito.

La loro protesta diventa un tassello all’interno di un quadro storico che si evolve nella direzione di un superamento di quella cultura maschilista e conservatrice, dominata dai rigidi precetti religiosi, che da secoli hanno relegato alcune frange della popolazione in una condizione di assoluta inferiorità.

E’ molto probabile che il Re Abdullah bin Abdul Aziz abbia voluto evitare una nuova Primavera araba nel Paese, rendendosi conto del fatto che c’erano tutti i presupposti perchè ciò accadesse anche in Arabia Saudita. E alcuni focolai si erano accesi proprio intorno alla protesta delle donne contro il divieto di guidare, nel giorno dell’anniversario della sua emanazione, il 17 giugno scorso. Si tratta di un editto, una fatwa, promulgata nel 1990 che vieta alle donne di guidare e che già a suo tempo era stato la conseguenza di manifestazioni contrarie ad una legge voluta dagli ultra-conservatori.

Il movimento femminista Women2Drive, compatto e attivo grazie ai social network, sembra voler resistere e non demordere. Così le donne hanno sfidato le minacce e le intimidazioni: con il capo coperto dal velo hanno voluto protestare, e questa volta lo hanno fatto mettendosi alla guida di un’ automobile, in un mondo dove è permesso guidare solo alle donne delle élite o a quelle che volontariamente trasgrediscono il divieto.

Sembra impensabile che nel mondo ci siano ancora così evidenti differenze tra i generi e condizioni d’inferiorità delle donne rispetto agli uomini. Sembra anacronistico, nel nostro mondo occidentale che tanto ha lottato per giungere alla parità tra i sessi. Eppure ci sono dei Paesi in cui questa uguaglianza è ancora molto lontana e dove, per raggiungerla, ci si può muovere soltanto a timidi passi, nonostante l’azione di molte femministe convinte.

Difatti, se in occidente il femminismo sembra essere svanito come movimento attivista, nelle regioni arabe è nel pieno della sua lotta per la difesa delle donne e dei loro diritti che, anche se concessi, spesso vengono dimenticati o non completamente applicati. E’ il caso questo della Tunisia, dove già nel 1956 era stata proclamata la parità tra i sessi grazie al Codice sullo status personale emanato dal Presidente Habib Bourguiga, poi emendato per concedere ulteriori diritti alle donne dal suo successore Ben Alì a partire dal 1993.

Qui, la non applicazione di alcune di queste concessioni ha portato a scendere in piazza nell’agosto scorso molte donne, le quali (anche nel Paese più progressista del mondo arabo, la Tunisia) si sono visti negati i loro diritti, spesso riconosciuti solo sulla carta, e hanno preso parte a quella Primavera araba che partita da qui sta infuocando molti altri Paesi dominati da dittature sanguinarie.

L’amara verità è che le donne, a causa di una cultura che le ritiene “minori” e non all’altezza di certi ruoli, vengono escluse dalle “stanze dei bottoni” dove solo ai maschi è concesso il potere.
Una condizione di questo tipo vivono le donne egiziane, in un Paese che ha conosciuto una lunga tradizione femminista e che vede come protagoniste moderne figure del calibro della giornalista Bouthaina Kamel, cofondatrice e responsabile dell’organizzazione “We are watching you”, nata allo scopo di controllare la correttezza dell’iter delle elezioni presidenziali del prossimo novembre, a cui lei stessa concorrerà.
Anche in Egitto, dove il movimento femminista trova la sua origine già negli anni Venti, le quote rosa riconosciute dal Presidente Mubarak non sono state mai applicate, causando la protesta di chi le aveva fortemente richieste.

Quando si parla di uguaglianza ci si riferisce ad un’uguaglianza di diritti e di opportunità. Qui mi soffermo principalmente sulla lotta per la partecipazione politica da parte di donne che hanno il temperamento per portarla avanti, tralasciando tutti quegli aspetti che caratterizzano la condizione di estrema mortificazione delle donne stesse come persone. Basti pensare che in alcuni Paesi vengono sottoposte ancora al test della verginità. Ed è doveroso ricordare che, se da un lato le diversità tra uomo e donna esistono e rendono i due mondi interessanti e complementari tra loro, dall’altro è inammissibile il diverso trattamento a livello umano, sociale e anche giuridico.

Purtroppo tutto questo ancora accade, nonostante molti dei Paesi arabi, compresa l’Arabia Saudita, abbiano firmato nel 2004 la Carta dei Diritti Umani che impone la tutela e la garanzia degli stessi diritti per tutti i cittadini senza alcuna distinzione.
Seppur è difficile debellare un sistema così radicato nelle membra della società araba, le donne ci provano ancora, e stavolta lo fanno ottenendo ciò che chiedevano con fermezza: il diritto al voto. In tal modo nel regno wahabita ultra-conservatore e basato sull’osservanza rigida del Corano potranno, a partire dalle prossime elezioni municipali, non solo votare ma anche essere elette.

Noi donne occidentali esprimiamo la nostra ammirazione per queste donne d’Arabia e non solo. E ci sentiamo di dire con convinzione che sono queste le donne dalle quali vogliamo prendere esempio. Donne che lottano ancora oggi, nel Terzo Millennio, per conquistare i diritti fondamentali della persona umana. Donne di coraggio. Donne di forte personalità, proprio come le donne arabe, che ancora una volta si rendono protagoniste di un forte cambiamento nel loro Paese e procedono nel “lungo cammino verso la libertà “.

Sono loro che, insieme a tante altre nel mondo, offrono un encomiabile esempio di dignità umana e di rivendicazione orgogliosamente femminile.


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